Ho ordinato Swan Song su Amazon, perché incuriosito
dai ripetuti paragoni con The Stand (in Italiano L’Ombra dello Scorpione) di
Stephen King. Per la verità, sono venuto a conoscenza con il libro in questione
proprio sulla pagina wikipedia di The
Stand dove si legge testualmente: “Swan
Song, a later work of post-apocalyptic fiction by Robert R. McCammon that
owes much to The Stand.” Andando a
spulciare le recensioni su Amazon e Goodreads ho letto una serie di commenti
entusiasti, e mi sono convinto ad acquistare questo malloppo di 850 pagine
scritte fitte fitte.
Il riferimento di
wikipedia non mente: Swan Song presenta
molti parallelismi con il romanzo di King. In entrambi i libri un disastro di
proporzioni apocalittiche spazza via gli Stati Uniti (e ,di conseguenza, il
mondo intero. Come potrebbe il mondo sopravvivere senza stars and stripes, d’altronde?). I pochi sopravvissuti si
riorganizzano in piccole comunità o gruppi itineranti per sopravvivere al
crollo della civiltà, e un’entità dai connotati diabolici si “risveglia” per
prender il controllo di quanto rimane dell’Umanità. Senza dubbio vi sono
riferimenti ad altre opere di genere post-apocalittico, ma, vista la mia scarsa
esperienza in materia (riconducibili al filone ho letto solo The Road, I Am Legend e Dhalgren), in
questa recensione ci sarà un abuso smodato di riferimenti a The Stand.
Togliamo subito ogni
dubbio: non ho trovato il romanzo di McCammon all’altezza del suo illustre termine
di paragone. Il conflitto nucleare che provoca la totale devastazione degli USA,
per come si sviluppa, risulta meno convincente e meno attuale di una bella
pandemia alla Captain Trips. In questo senso non aiuta il fatto che il libro
sia stato scritto nel 1986 e che la minaccia di una guerra Stati Uniti – Unione
Sovietica sia ormai attuale e plausibile quanto il ritorno di Napoleone da Sant’Elena
per reclamare il trono di Francia.
Questo non è l’unico problema. La guerra stessa viene gestita male. Nessuno
dei civili ne è al corrente o sembra prevederla (beh, forse negli Stati Uniti
questo è normale). Il conflitto vero e proprio si risolve tutto nell’arco di una
giornata (forse anche meno): una gragnuola di missili a testata nucleare si
abbatte sull’America – e per par condicio anche su Russia ed Europa – rasandola
al suolo. Dinamica possibile, ma non troppo probabile a mio modo di vedere; da
questo punto di vista lo scatenarsi della pandemia in “The Stand”, con i vani
tentativi di confinarla e occultarne la portata da parte dell’esercito era
risultata molto più verosimile.
In Swan Song i sopravvissuti – per lo più
orribilmente sfigurati – si ritrovano sprofondati in una realtà da incubo: la
flora è stata completamente spazzata via, una coltre di detriti e cenere
avvolge l’atmosfera terrestre oscurando il sole e provocando un lungo inverno.
Una situazione piuttosto tragica, eppure la gente riesce a sopravvivere per
sette anni (!) in queste condizioni: quando c’è bisogno, legname e cibo in
scatola sono sempre a portata di mano.
La storia ruota attorno
a tre nuclei principali di personaggi. Il primo è composto da Swan, una
ragazzina con il dono innato di far crescere fiori e piante (anche senza luce!),
e Josh, un gigantesco nero con un passato da wrestler alle spalle. Il secondo è
incentrato attorno alla figura di Sister, una donna dal passato drammatico che
si risveglia a nuova vita quando, tra le rovine di New York, trova un
misterioso anello di vetro e gioielli in grado di trasmetterle visioni. Del
terzo fanno parte il colonnello Macklin, un reduce del Vietnam in preda alla
tipica crisi di mezz’età, e Roland Cronninger, un ragazzo dall’aspetto sfigato
ma dalla mente lesta con una passione per i computer (leggasi: nerd occhialuto
con pulsioni sociopatiche). Per conto suo invece si muove l’Uomo dall’Occhio Scarlatto
– aka il “Randall Flagg” di Swan Song
– un messaggero di morte e disperazione venuto a danzare tra i resti fumanti
della civiltà ridotta in cenere.
La caratterizzazione
dei personaggi, sebbene non malvagia, manca di profondità. Anche in questo
senso il paragone con King è impietoso per il malcapitato McCammon: i
personaggi di The Stand avevano
personalità autentiche e ben definite che li faceva emergere dalle pagine del
libro. Buoni o cattivi che fossero, il lettore era trascinato dalle loro
peripezie e scalpitava per scoprire quale destino li attendeva nella pagina
seguente. Per le prime 600 pagine o giù di lì, non sono riuscito ad
appassionarmi ai protagonisti di Swan
Song e alle loro vicende. In un caso particolare, sono arrivato a detestare
un personaggio, Sister, una donna così decisa a perseguire i propri scopi da
non farsi troppi scrupoli nei confronti degli altri, soprattutto se aveva modo
di usarli a proprio vantaggio (il trucco le riesce con Sheila Fontana, una
prostituta del gruppo di Maclin). Josh, dal canto suo, è un bravissimo
cristiano ma anche un completo idiota, e in un paio di occasioni riesce a cacciare
se stesso e la malcapitata Swan – che in teoria dovrebbe proteggere – in un
mare di guai facilmente evitabili.
L’appetibilità dei
personaggi non risulta migliorata dalle crescite fibrose che, dopo la
catastrofe nucleare, gli spuntano in volto. Queste specie di porri si espandono
con il passare degli anni fino a coprire tutta la testa, lasciando libere solo
delle piccole fessure per gli occhi e la bocca.
Non ho gradito poi l’abuso
di elementi magici e soprannaturali – il potere di Swan con le piante, un
cadavere che si rialza per raccomandare a Josh di proteggere Swan, l’anello trovato
da Sister, un ago di cristallo che cicatrizza la ferita di un’operazione a
torace aperto (!) – per i quali non viene presentata nessuna giustificazione
credibile. Esistono semplicemente perché sono necessari alla storia, ma a mio
modo di vedere stonano con un’ambientazione prettamente post-apocalittica.
Anche King ne aveva fatto uso in The
Stand, ma in maniera meno vistosa, coerente con lo spirito della storia.
In più di
un’occasione ho provato un senso di fastidio verso e quanto stavo leggendo e ho
dovuto resistere alla tentazione di posare il libro e prenderne un altro dalla
mia voluminosa pila da leggere. Alla
fine ho tenuto duro e la mia fatica è stata (almeno in parte) ripagata. Nell’ultima
parte del libro, quando finalmente gruppi che si inseguono da anni si
raggiungono e le schifose crescite fibrose vanno letteralmente in frantumi, la storia
imbocca i binari giusti e il lettore si riscuote da quel fastidioso senso di
torpore in cui era sprofondato.
Dopo essere
raggiunta da Sister e il suo gruppo, Swan sboccia a nuova vita, proprio come il
brutto anatroccolo della fiaba. Prende il mano il proprio destino e quello delle
persone che le stanno intorno con un tempismo perfetto, perché i cattivi si
profilano all’orizzonte. Il suo primo incontro con l’uomo dall’occhio scarlatto
è uno dei punti migliori del libro, uno scontro di volontà gestito e risolto
dall’autore in maniera ineccepibile. Da quel punto in avanti la narrazione
procede a passo spedito verso il confronto finale, in cui ogni tassello va al
suo posto in maniera fin troppo naturale.
[SPOILER]
Perfino l’odiata
Sister risulta quasi simpatica nell’ultimo capitolo, quando finalmente tira le
cuoia.
Il libro ci lascia
con un messaggio di speranza, molto in linea con lo spirito ottimista degli
anni ottanta. Il sole squarcia le nubi cineree dopo sette anni di tenebre e
inverno; la Terra può ritornare alla vita, anche grazie a un piccolo aiuto da
parte di Swan.
[FINE SPOILER]
Nel complesso, il finale positivo non è sufficiente a risollevare le sorti di un libro senza troppa personalità. Consigliato solo agli appassionati del genere.
Nel complesso, il finale positivo non è sufficiente a risollevare le sorti di un libro senza troppa personalità. Consigliato solo agli appassionati del genere.
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