Una quindicina di
anni fa, tra le produzioni della Sergio Bonelli Editore c’era una collana
chiamata ZONA X. Nata come uno spin-off di
Martin Mystère, rappresentava a quei tempi una delle poche escursioni nel
fantastico del fumetto italiano (almeno per quanto ne sapessi io, povero
liceale ignorante). Ogni uscita conteneva due storie: alcune appartenevano a
mini-serie (di cui ricordo Magic Patrol,
Robinson Hart e i Cavalieri del Tempo
e La Stirpe di Elän, quest’ultima
l’unica prettamente heroic fantasy), altre erano episodi autoconclusivi. Uno di
questi ultimi, pubblicato nel numero 19, si intitolava La Caccia ed era
ambientato in un futuro a tinte cupe non troppo distante, in cui lo spettacolo
televisivo più popolare è una caccia all’uomo svolta all’interno di un’arena
con una particolare ambientazione storico-geografica. I cacciatori erano un
gruppo di mercenari professionisti, mentre ogni settimana una preda veniva
sorteggiata tra l’intera popolazione mondiale. I cacciatori avevano un’ora di
tempo per stanare e uccidere la loro preda; quest’ultima, per ogni minuto di
sopravvivenza, guadagnava una somma di denaro che, in caso di morte sarebbe
stata elargita alla sua famiglia.
La trama della
storia non era poi del tutto originale presentando tra l’altro molte analogie
con L’Uomo in Fuga (The Running Man) di Stephen King, uscito
nel lontano ’82. Tuttavia l'efficacia della storia e una protagonista femminile dalla
personalità forte sono rimaste sepolte nella mia mente per una decina d’anni,
per tornarmi in mente mentre leggevo The
Hunger Games.
Dubito però che
Suzanne Collins, l’autrice di The Hunger
Games, abbia mai letto ZONA X. Più probabilmente potrebbe aver preso
qualche spunto da The Running Man e
da un’altra manciata di libri/film distopici la cui storia gira intorno a un
reality show cruento. In ogni caso, la sua storia i questione ha sufficiente personalità da non
dover temere eventuali paragoni (che sono il mio forte, come avrete notato
dalle mie precedenti recensioni).
[SEGUE SINOSSI CON
QUALCHE SPOILER]
In un futuro non
troppo distante, il tirannico stato (non lo definirei totalitario) di Panem è
sorto sulle rovine di quello che era il Nord America. Panem è costituito da una
ricca Capitale, chiamata per l’appunto Capitol, e dodici distretti in
condizioni di povertà più o meno marcate. È facile intendere che buona parte
della ricchezza della Capitale è dovuta allo sfruttamento delle risorse dei
dodici distretti. Settantacinque anni prima questi ultimi si erano ribellati al
giogo dello stato centrale e dopo una guerra lunga ed estenuante erano stati sonoramente
sconfitti. A perenne memoria dell’umiliazione subita allora – come accadde agli
Ateniesi nei confronti di Minosse – ogni anno ciascun distretto deve fornire un
ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni, affinché partecipino a un reality
show dal nome “Hunger Games”. I due fortunati vengono estratti a sorte in un’assemblea
pubblica soprannominata “mietitura”. Lo spettacolo in questione, il più
popolare di tutta Panem, si svolge all’interno di un’arena e prevede una lotta
senza tregue e all’ultimo sangue tra i ventiquattro partecipanti. L’ultimo
sopravvissuto verrà proclamato vincitore e potrà godere di una vita di agi e
privilegi.
Katniss Everdeem è
una ragazza di 16 anni del Distretto 12, il più povero di tutta Panem. Suo
padre è morto durante un’esplosione all’interno delle miniere di carbone quando
lei aveva solo undici anni, e da allora Katniss ha dovuto provvedere alla
sopravvivenza di sua madre – caduta in
uno stato di depressione a causa della morte del marito – e della sorella più
piccola, Primrose.
Insieme all’amico
Gale Hawthorne, ogni giorno scavalca il recinto spinato che delimita il
Distretto e si reca nei boschi a cacciare di selvaggina, bacche e funghi. Da
suo padre ha ereditato la capacità di muoversi nel bosco con la grazia di un
felino e una precisione chirurgica con l’arco. Grazie alla sua attività di
bracconaggio, la sua famiglia è riuscita a condurre una vita dignitosa. Katniss
ama sua sorella Prim sopra ogni cosa e farebbe di tutto per tenerla al sicuro.
Così, quando alla sua prima “mietitura” (e che sfiga!) Prim viene sorteggiata,
Katniss non ci pensa due volte a offrirsi volontaria al suo posto. Insieme a
lei viene estratto Peeta Mellark, il figlio del fornaio. Anni addietro Peeta le
aveva regalato di nascosto due forme di pane nel peggiore periodo di miseria
dopo la morte del padre e per questo Katniss sente ancora di avere un debito
nei suoi confronti. Un debito oneroso, se l’occasione di saldarlo si presenterà
nell’Arena, dove la morte di uno può significare la vita dell’altro.
Nel viaggio in treno
tra il distretto e la Capitale, i due ragazzi riescono a guadagnarsi la stima
di Haymitch e, con l’aiuto di un’abile squadra di stilisti riescono a fare
colpo durante il periodo di presentazione in preparazione ai Giochi. Katniss
impressiona gli Organizzatori per il suo temperamento. Peeta dal canto suo,
spiazza tutti, quando nell’intervista televisiva alla vigilia dell’ingresso
nell’Arena lascia chiaramente a intendere di essere innamorato di Katniss da
quando era bambino. Un dubbio sorge spontaneo: è una confessione genuina o solo
una mossa per guadagnarsi la simpatia del pubblico e degli sponsor? La risposta
– per quanto abbastanza palese sin dall’inizio – si avrà soltanto nell’arena
dove ognuno dovrà lottare per la propria sopravvivenza.
[FINE SINOSSI]
Due particolarità
saltano all’occhio dello stile usato da Suzanne Collins in The Hungers Games. La
prima è la narrazione in prima persona (da punto di vista di Katniss), tutta
svolta al tempo presente. La seconda è la totale assenza di soluzione di
continuità nella narrazione: ogni capitolo ha inizio precisamente nell’istante
in cui il precedente si è concluso. Questa scelta conferisce alla storia una
struttura fluida, senza un reale momento di pausa per il lettore, che fatica a
trovare il punto migliore per posare il libro e preferirebbe avere il tempo di mandarlo
giù tutto d’un colpo, come una bella tequila con sale e limone.
La Collins gioca
abilmente con il triangolo Katniss-Gale-Peeta e sui sentimenti di Katniss nei confronti dei
due ragazzi, senza per questo eccedere nello stucchevole sentimentalismo. The Hunger Games è prima di tutta una
storia di lotta e sopravvivenza, con una robusta dose di azione e suspense. Non
tutti i partecipanti sono malcapitati estratti per sorte avversa; nei Distretti
più ricchi alcuni ragazzi vengono a tutti gli effetti addestrati per vincere il torneo. Contro questi guerrieri in erba
Katniss può solo opporre il suo naturale istinto di sopravvivenza, quello che
le ha permesso di andare avanti dopo la morte di suo padre, la conoscenza della
natura sviluppata nel corso degli anni e la sua abilità con l’arco. Ma sarà
sufficiente per portare la pellaccia a casa?
Per gli amanti delle
classificazioni, The Hunger Games può
essere considerato fantascienza, riferendoci però a quel ramo della stessa più
interessato agli aspetti sociali piuttosto che alle potenzialità del progresso
scientifico-tecnologico. Il livello tecnologico di Panem è grossomodo paragonabile
al nostro. La notevole eccezione è l’ingegneria genetica, utilizzata dalla
Capitale ai tempi della guerra contro di Distretti, che a dato origini a nuove
specie animali (e non solo) dette Muttations. Panem è una tirannia fondata sull’oppressione
dei 12 distretti, ma non per questo lo scenario è desolante come in altre
visioni distopiche del futuro (per dirne una 1984). Il regime oppressivo non risparmia neppure gli stessi
abitanti della Capitale, come Katniss intuisce dopo l’incontro con una Avox,
una Capitolina punita con il taglio della lingua per aver tentato di fuggire
nelle terre selvagge oltre i confini di Panem.
Proprio a causa
della narrazione fluida a cui ho accennato in precedenza il romanzo termina nel
momento più appropriato, lasciando al contempo ampio spazio a un potenziale
seguito. Come prevedibile un solo seguito non poteva bastare a raccontare tutta
la storia e così The Hunger Games ha
dato origine a una (almeno per ora) trilogia. Nel primo libro, Collins si
sofferma maggiormente sulla dinamica dei Giochi e sulle vicende dei personaggi,
ma mi è stato dato a intendere gli aspetti più prettamente “politico-sociali”
rivestiranno un ruolo più importante nei libri successivi.
A voler essere
pignoli c’è breve momento di stanca poco prima dell’ultimo scontro e la buena suerte sembra strizzare più di un
occhio alla nostra eroina, ma ci sentiamo di perdonare queste minime sbavature
a fronte del risultato finale. Ci sono momenti di orrore e desolazione in The Hunger Games, ma l’autrice non
permette ai suoi personaggi di crogiolarsi nella sofferenza…prima bisogna
sopravvivere, al resto si pensa dopo. In altre mani, il romanzo sarebbe potuto
venir fuori molto più cupo e deprimente – più adulto e realista,
direbbero alcuni – e avrebbe così perso buona parte del suo fascino. Panem non
sarà il migliore dei mondi, ma al suo
interno c’è molto da salvare, dai boschi del distretto 12 fino ai grattacieli della
Capitale, ed è un posto dove al lettore farà piacere ritornare (il conto in
banca della Collins mi dà ragione).
Siccome di Giochi
della Fame si è parlato e come è ben noto l’appetito vien mangiando, cercherò
di mettere al più presto le mani sul secondo tomo, Catching Fire, per vedere se sazierà quello spazietto lasciato
libero dalla prima portata.
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