domenica 25 settembre 2011

Swan Song, ovvero il fratello minore dello Scorpione


Ho ordinato Swan Song su Amazon, perché incuriosito dai ripetuti paragoni con The Stand (in Italiano L’Ombra dello Scorpione) di Stephen King. Per la verità, sono venuto a conoscenza con il libro in questione proprio sulla pagina wikipedia di The Stand dove si legge testualmente: “Swan Song, a later work of post-apocalyptic fiction by Robert R. McCammon that owes much to The Stand.” Andando a spulciare le recensioni su Amazon e Goodreads ho letto una serie di commenti entusiasti, e mi sono convinto ad acquistare questo malloppo di 850 pagine scritte fitte fitte.
Il riferimento di wikipedia non mente: Swan Song presenta molti parallelismi con il romanzo di King. In entrambi i libri un disastro di proporzioni apocalittiche spazza via gli Stati Uniti (e ,di conseguenza, il mondo intero. Come potrebbe il mondo sopravvivere senza stars and stripes, d’altronde?). I pochi sopravvissuti si riorganizzano in piccole comunità o gruppi itineranti per sopravvivere al crollo della civiltà, e un’entità dai connotati diabolici si “risveglia” per prender il controllo di quanto rimane dell’Umanità. Senza dubbio vi sono riferimenti ad altre opere di genere post-apocalittico, ma, vista la mia scarsa esperienza in materia (riconducibili al filone ho letto solo The Road, I Am Legend e Dhalgren), in questa recensione ci sarà un abuso smodato di riferimenti a The Stand.
Togliamo subito ogni dubbio: non ho trovato il romanzo di McCammon all’altezza del suo illustre termine di paragone. Il conflitto nucleare che provoca la totale devastazione degli USA, per come si sviluppa, risulta meno convincente e meno attuale di una bella pandemia alla Captain Trips. In questo senso non aiuta il fatto che il libro sia stato scritto nel 1986 e che la minaccia di una guerra Stati Uniti – Unione Sovietica sia ormai attuale e plausibile quanto il ritorno di Napoleone da Sant’Elena per reclamare il trono di Francia.  Questo non è l’unico problema. La guerra stessa viene gestita male. Nessuno dei civili ne è al corrente o sembra prevederla (beh, forse negli Stati Uniti questo è normale). Il conflitto vero e proprio si risolve tutto nell’arco di una giornata (forse anche meno): una gragnuola di missili a testata nucleare si abbatte sull’America – e per par condicio anche su Russia ed Europa – rasandola al suolo. Dinamica possibile, ma non troppo probabile a mio modo di vedere; da questo punto di vista lo scatenarsi della pandemia in “The Stand”, con i vani tentativi di confinarla e occultarne la portata da parte dell’esercito era risultata molto più verosimile.
In Swan Song i sopravvissuti – per lo più orribilmente sfigurati – si ritrovano sprofondati in una realtà da incubo: la flora è stata completamente spazzata via, una coltre di detriti e cenere avvolge l’atmosfera terrestre oscurando il sole e provocando un lungo inverno. Una situazione piuttosto tragica, eppure la gente riesce a sopravvivere per sette anni (!) in queste condizioni: quando c’è bisogno, legname e cibo in scatola sono sempre a portata di mano.
La storia ruota attorno a tre nuclei principali di personaggi. Il primo è composto da Swan, una ragazzina con il dono innato di far crescere fiori e piante (anche senza luce!), e Josh, un gigantesco nero con un passato da wrestler alle spalle. Il secondo è incentrato attorno alla figura di Sister, una donna dal passato drammatico che si risveglia a nuova vita quando, tra le rovine di New York, trova un misterioso anello di vetro e gioielli in grado di trasmetterle visioni. Del terzo fanno parte il colonnello Macklin, un reduce del Vietnam in preda alla tipica crisi di mezz’età, e Roland Cronninger, un ragazzo dall’aspetto sfigato ma dalla mente lesta con una passione per i computer (leggasi: nerd occhialuto con pulsioni sociopatiche). Per conto suo invece si muove l’Uomo dall’Occhio Scarlatto – aka il “Randall Flagg” di Swan Song – un messaggero di morte e disperazione venuto a danzare tra i resti fumanti della civiltà ridotta in cenere.
La caratterizzazione dei personaggi, sebbene non malvagia, manca di profondità. Anche in questo senso il paragone con King è impietoso per il malcapitato McCammon: i personaggi di The Stand avevano personalità autentiche e ben definite che li faceva emergere dalle pagine del libro. Buoni o cattivi che fossero, il lettore era trascinato dalle loro peripezie e scalpitava per scoprire quale destino li attendeva nella pagina seguente. Per le prime 600 pagine o giù di lì, non sono riuscito ad appassionarmi ai protagonisti di Swan Song e alle loro vicende. In un caso particolare, sono arrivato a detestare un personaggio, Sister, una donna così decisa a perseguire i propri scopi da non farsi troppi scrupoli nei confronti degli altri, soprattutto se aveva modo di usarli a proprio vantaggio (il trucco le riesce con Sheila Fontana, una prostituta del gruppo di Maclin). Josh, dal canto suo, è un bravissimo cristiano ma anche un completo idiota, e in un paio di occasioni riesce a cacciare se stesso e la malcapitata Swan – che in teoria dovrebbe proteggere – in un mare di guai facilmente evitabili.
L’appetibilità dei personaggi non risulta migliorata dalle crescite fibrose che, dopo la catastrofe nucleare, gli spuntano in volto. Queste specie di porri si espandono con il passare degli anni fino a coprire tutta la testa, lasciando libere solo delle piccole fessure per gli occhi e la bocca.
Non ho gradito poi l’abuso di elementi magici e soprannaturali – il potere di Swan con le piante, un cadavere che si rialza per raccomandare a Josh di proteggere Swan, l’anello trovato da Sister, un ago di cristallo che cicatrizza la ferita di un’operazione a torace aperto (!) – per i quali non viene presentata nessuna giustificazione credibile. Esistono semplicemente perché sono necessari alla storia, ma a mio modo di vedere stonano con un’ambientazione prettamente post-apocalittica. Anche King ne aveva fatto uso in The Stand, ma in maniera meno vistosa, coerente con lo spirito della storia.
In più di un’occasione ho provato un senso di fastidio verso e quanto stavo leggendo e ho dovuto resistere alla tentazione di posare il libro e prenderne un altro dalla mia voluminosa pila da leggere. Alla fine ho tenuto duro e la mia fatica è stata (almeno in parte) ripagata. Nell’ultima parte del libro, quando finalmente gruppi che si inseguono da anni si raggiungono e le schifose crescite fibrose vanno letteralmente in frantumi, la storia imbocca i binari giusti e il lettore si riscuote da quel fastidioso senso di torpore in cui era sprofondato.
Dopo essere raggiunta da Sister e il suo gruppo, Swan sboccia a nuova vita, proprio come il brutto anatroccolo della fiaba. Prende il mano il proprio destino e quello delle persone che le stanno intorno con un tempismo perfetto, perché i cattivi si profilano all’orizzonte. Il suo primo incontro con l’uomo dall’occhio scarlatto è uno dei punti migliori del libro, uno scontro di volontà gestito e risolto dall’autore in maniera ineccepibile. Da quel punto in avanti la narrazione procede a passo spedito verso il confronto finale, in cui ogni tassello va al suo posto in maniera fin troppo naturale.
[SPOILER]
Perfino l’odiata Sister risulta quasi simpatica nell’ultimo capitolo, quando finalmente tira le cuoia.
Il libro ci lascia con un messaggio di speranza, molto in linea con lo spirito ottimista degli anni ottanta. Il sole squarcia le nubi cineree dopo sette anni di tenebre e inverno; la Terra può ritornare alla vita, anche grazie a un piccolo aiuto da parte di Swan.
[FINE SPOILER]

Nel complesso, il finale positivo non è sufficiente a risollevare le sorti di un libro senza troppa personalità. Consigliato solo agli appassionati del genere.

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