venerdì 2 settembre 2011

A Dance with Dragons: un'opinione


Ho finito di leggere A Dance With Dragons una decina di giorni fa; quale occasione migliore per inaugurare un non-blog di non recensioni?
In primis, mi permetto un commento sul titolo: lo reputo fuorviante, probabilmente “I Fantastici Viaggi per fiumi e per mare di Yollo (alias Hugor Hill)” sarebbe stato più appropriato.

Riassunto delle puntate precedenti:
Dopo aver sfornato tre libri che sfiorano il capolavoro (particolare menzione per il terzo A Storm Of Swords, ingiustamente privato del  premio Hugo nel 2001 dal pur bello Harry Potter and the Goblet of Fire), lo zio si è scoperto intrappolato all’interno del labirinto da lui stesso creato. La sua idea originaria – un “salto in avanti”di 5-6 anni tra la prima e la seconda trilogia per dare il tempo ai suoi personaggi di crescere – non poteva più funzionare, perché alla fine di A Storm Of Swords erano troppi i fili rimasti appesi per poter fare semplicemente finta di niente.
La soluzione scelta è stata quindi proseguire da dove ci si era fermati con il terzo libro, introducendo al contempo una pletora di nuovi punti di vista (POV, come dicono gli Anglamerofili), alcuni dei quali necessari alla “discesa in campo” di fazioni fino a quel momento rimaste un poco ai margini della storia principale (gli Uomini delle Isole di Ferro, i Dorniani).
Con il moltiplicarsi dei punti di vista, il libro di conseguenza si è gonfiato a dismisura, forzando Martin a dividerlo in due parti, A Feast for Crows, uscito nel 2005, e A Dance with Dragons attuale oggetto delle mie esternazioni.

Il nuovo libro scioglie solo in parte i dubbi sollevati dal suo predecessore. A Dance with Dragons, proprio come A Feast For Crows si muove con la letargica lentezza di un bradipo e non molto aiuta il ritorno dei nostri personaggi preferiti (per chi avese vissuto su Plutone fono a ieri mi riferisco a Jon Snow, Daenerys e Tyrion). I magnifici Tre fanno la parte del leone, spartendosi equamente metà del libro (35 capitoli su 70 o giù di lì), eppure sono proprio le loro vicissitudini a rallentare lo svolgersi degli eventi. Jon e Dany, invischiati nelle sempre più opprimenti beghe politiche dovute al loro ruolo, passano intere pagine a rimuginare su come procedere e in buona sostanza combinano ben poco. Tyrion si muove come una trottola (una trottola in slow motion, ma pur sempre una trottola) incontra parecchia gente interessante, eppure è proprio la sua storia ad avermi convinto meno di tutte.
[INIZIO PICCOLO SPOILER] 
Ma come, Varys lo spedisce come un pacco da Illyrio, questi lo rende parte della loro “piccola” cospirazione, e lui per neppure un momento è stupito o si pone domande al riguardo? Cioè, Varys è stato un certo senso il suo principale appoggio quando luii era la Mano del Re, e al contempo tramava di nascosto il ritorno dei Targaryen? Tutto questo non turba per nulla in nostro nano mezzonano. In secondo luogo, la storia del giovane Griff mi ha convinto ben poco, ma anche su quella Tyrion non si sofferma troppo a riflettere. E perché dovrebbe quando può fantasticare pagine e pagine su Tysha, il suo amore perduto, e sull’ultima celebre frase di suo padre, “Wherever whores go”(Senza fare menzione di una certa insopportabile nana e dei suoi animaletti da avanspettacolo)?
[FINE PICCOLO SPOILER]
Tutto è perduto quindi? Il vecchio Martino ha perso la bussola una volta per tutte? Niente affatto, perché nonostante la lentezza generale, le interminabili descrizioni di cibo e scopate, la ripetizione fino alla nausea di frasi quali “Words are wind” e “Said the crow to the raven”(questa in realtà è usata meno che in passato), le innumerevoli volte in cui il corvo di Mormont gracchia "corn" piuttosto che "snow", nonostante tutto ciò, il buon GiorgioRR rimane ancora una spanna sopra il 99% degli attuali scrittori di fantasy, soprattutto per la sua eccezionale caratterizzazione dei personaggi e per la capacità di evocare con le sue parole immagini vivide del mondo che descrive. Città e campagne, rovine e foreste  di Westeros ed Essos, e soprattutto i loro abitanti acquistano una profondità rara nella letteratura di questo genere, perché come è stato scritto su questo articolo pubblicato su Black Gate, la prosa Martin ha la capacità di stimolare tutti e cinque in sensi, di immergere il lettore nel suo mondo, di rendere reale e vivida la vita di tutti i giorni ad Approdo del Re, come a Mereen, sulla Barriera come su una barca placidamente in viaggio lungo il fiume Rhoyne.
Come dicevamo i presunti "tre protagonisti" non convincono, almeno per 3/4 della storia. E allora ecco che sono alcuni tra i personaggi minori, quelli con un numero ridotto di capitoli, a colpire maggiormente nel segno. Ho trovato particolarmente convincente la storia di “Reek” (indovina chi sarà mai?), la manciata di capitoli dedicati a Bran, e quella di un vecchio personaggio (sia anagraficamente sia come anzianità nella storia), che solo adesso assurge a POV. Oltre a questi, nell’ultima parte del libro la storia si riallinea e supera il punto in cui A Feast for Crows si era fermato. Così  rivediamo con piacere (tra gli altri) Arya e Cersei (in AFfC non la potevo soffrire), entrambe con due capitoli a testa che contribuiscono a portare avanti in maniera soddisfacente le loro vicissitudini da come le avevamo lasciate su A Feast for Crows.  Altri personaggi hanno capitoli meno salienti, ma comunque godibili.
È proprio sul finale del libro che Martin sembra improvvisamente risvegliarsi da un torpore durato una decina d’anni e inizia una buona volta a tirare le fila. Dopo tanto discutere, i personaggi iniziano ad agire e le nubi nere che da lungo tempo incombevano all’orizzonte sembrano pronte a scatenare la tempesta. Leggendo gli ultimi capitoli provo di nuovo quel senso di magia che tanto mi aveva incantato nei primi tre libri; finalmente, dopo lungo penare e peregrinare, le varie pedine hanno raggiunto la posizione desiderata e le conflagrazioni anticipate dall’inizio del libro possono avere inizio (non la Grande Conflagrazione Finale, per quella ci sarà da attendere ancora qualche libro alcune migliaia di leghe di viaggio). E proprio sul più bello, quando la storia inizia a crescere (si impenna azzarderei a dire) e il lettore sbava per scoprire come va a finire e quale sarà la sorte dei suoi beniamini, il buon GeorgeRR conclude il libro lasciando la bellezza di 4-5 situazioni da capogiro in sospeso . Scelta di mercato, semplice necessità dovuta alle dimensioni del libro o decisione già pianificata in precedenza? Ai posteri l’ardua sentenza; io, dal canto mio mi trovo con la prospettiva di aspettare altri 5 anni a tormentarmi di domande, in attesa di scoprire le sorti dei miei personaggi preferiti e non.

In conclusione, il libro mi è piaciuto o no? La risposta è un sì tendente al nì, o forse un nì tendente al sì. Non è neanche lontanamente paragonabile ai 3 libri storici, ma in ogni caso, rimane un libro scritto con classe (palati più fini forse direbbero mestiere) e la conclusione ci lascia ben sperare per il futuro. Non accade quello che mi sarei aspettato (non che sapessi davvero cosa aspettarmi), ma a libro concluso credo che per lo più la storia stia procedendo nella direzione giusta. Il tasto dolente resta il passo da lumaca: in questo senso, come molti prima di me hanno evidenziato, la Jordanizzazione (non nel senso delle matrici) di Martin è un dato di fatto, un evento orami difficilmente controvertibile.
Si ha una singola risposta alla lunga lista di interrogativi disseminati nei libri precedenti? No!
Si aggiungono nuove domande e ulteriori personaggi e POV? Certo che sì, con ulteriore complicazione della storia. Ci sono ben 4 nuovi POV in questo libro. A questo punto in The Winds Of Winter Martin si ritroverà a dover gestire 20 punti di vista sparsi tra Westeros ed Essos. Riuscirà a tirare le fila della storia in 2 soli libri, anche se della lunghezza di 1000 pagine ciascuno? Non lo credo possibile, anzi perfino l’ipotesi di 3 libri mi pare assai ottimistica.
Lettori armatevi di pazienza e (soprattutto di fede), pregate e accendete ceri affinché una lunga e prolifica vita sia garantita al nostro sosia preferito di Babbo Natale.

Ho scritto troppo per i miei gusti e poco e niente di quello che volevo davvero dire, magari la prossima “non recensione” sarà più sul pezzo.

A dopo.

2 commenti:

  1. Non ho capito però alla fine che voto complessivo dai, rispetto ai precedenti libri!!
    Il finale tira su tutto il libro o....

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  2. In realtà non l'ho capito bene neanche io. Se proprio dovessi dargli un voto immagino che si aggirerebbe intorno al sette (sette meno, magari), mentre potrei dare 8 e mezzo a Game Of Thrones, 9 a Clash Of Kings e 9 e mezzo a Storm Of Swords. Contando però che considero i primi tre su un altro pianeta rispetto a questo, i voti in questione però andrebbero meglio interpretati su una scala logaritmica.

    Il finale tira su la storia e di brutto, la fa proprio impennare! Gli ultimi capitoli e il magistrale epilogo sembrano promettere faville all'inizio del sesto libro. Rimane purò il fatto che non riesco a intravedere una strada breve e dritta da qua a una possibile conclusione della serie. Ma magari GeoRRge ha la vista più acuta...

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