martedì 20 settembre 2011

The Darkness That Comes Before e la bancarotta nichilista del Fantasy Contemporaneo


Lo scorso febbraio, Leo Grin aveva pubblicato questo articolo dal titolo The Bankrupt Nihilism of Our Fallen Fantasists, nel quale aveva espresso un personale e accalorato commento sulla scena fantasy contemporanea, confrontandola con l’opera di quelli che (peraltro giustamente) considera i due padri del genere: J.R.R Tolkien e R.E. Howard (e se costoro hanno bisogno di un’introduzione, allora forse vi trovate nel posto sbagliato: il sito che cercavate è questo).
Quanto è segue il succo del messaggio di Grin, leggermente rielaborato dal sottoscritto. “Dalle pagine dei due maestri, con la loro ricchezza tematica e prosa evocativa, riecheggiano miti e leggende del passato, latori di temi e valori senza tempo. Per contro, scrittori moderni quali Joe Abercrombie (The Firs Law Trilogy), Steven Erikson (Malazan Book of the Fallen) e George R.R. Martin (A Song of Ice and Fire), con il pretesto di portare una ventata di freschezza nel genere, stravolgono – a tutti gli effetti capovolgono – questi temi e valori, proponendoci realtà brutali e deprimenti, in cui si muovono personaggi dalla morale ambigua che, qualora messi alla prova, si dimostrano capaci di qualsiasi bassezza.”
Gli autori moderni vengono elogiati da pubblico e critica per il maggiore realismo dei loro mondi (concetto su cui torneremo), e in particolare per esporre senza vena poetica la follia, gli orrori e le passioni della guerra. Grin rifiuta categoricamente questa visione e nel suo j’accuse risponde (grossomodo) come segue: “Tolkien aveva iniziato a comporre il suo legendarium nelle trincee della Prima Guerra Mondiale mentre i suoi migliori amici venivano ad uno ad uno falcidiati dal fuoco nemico e forse ne sapeva qualcosa di più sulla guerra rispetto a questi signori che, per lo più, i conflitti li hanno solo letti sui libri o visti seduti davanti alla televisione.”
Al tempo della sua pubblicazione, l’articolo in questione aveva sollevato un certo polverone (o, più propriamente, un polverino) nel folto sottobosco del genere. Critici, autori e semplici appassionati avevano espresso la propria opinione, in difesa delle opere incriminate o a sostegno del nostro paladino della tradizione.

Perché questo lungo preambolo di folklore? Il romanzo d’esordio del canadese R.Scott Bakker, The Darkness That Comes Before, primo libro della trilogia The Prince of Nothing, è a buon diritto tra gli esponenti di punta del filone aspramente deplorato da Grin. Al contempo è anche l’emblematica prova che la distanza tra i “maestri” e “gli autori iconoclasti” è molto più piccola di quanto non sembri in apparenza.
Ecco, nelle parole dell’autore una breve introduzione all’ambientazione da lui creata, il mondo di Eärwa:
[INIZIO PICCOLO SPOILER]
“La Prima Apocalisse ha distrutto le grandi nazioni Norsirai del Nord. Solo a sud, le nazioni Ketyai dei Tre Mari, sono sopravvissute all’assalto del Non-Dio, Mog-Pharau, e della sua Consulta di generali e maghi. Gli anni sono passati e gli uomini dei Tre Mari hanno dimenticato, come gli uomini inevitabilmente fanno, gli orrori subiti dai loro antenati.
Imperi sono sorti e imperi sono crollati: Kyraneas, Shir, Cenei. L’ultimo profeta, Inri Sejenus, ha reinterpretato la Zanna, il più sacro degli artefatti, e in pochi secoli la fede dell’Inrithismo, organizzata e amministrata dai Mille Templi e dal loro leader spirituale, lo Shriah, arrivò a dominare l’intero Tre Mari. Le grandi scuole di stregoneria – quali le Spire Scarlatte, lo Shaik Imperiale e i Mysunsai, sorsero in risposta alle persecuzioni da parte degli Inrithi contro i Pochi, coloro che possiedono l’abilità di vedere e compiere stregonerie. Usando le Chorae, antichi artefatti che rendono i loro portatori immuni alla magia, gli Inrithi lottarono contro le Scuole tentando, senza successo, di purificare i Tre Mari.
Poi Fane, il Profeta del Dio Solitario, unì i Kianeni, i popoli dei deserti a sud-est dei Tre Mari e dichiarò guerra contro la Zanna e i Mille Templi. Dopo secoli e diverse jihad, i Fanim e i loro preti-stregoni senz’occhi, i Cishaurin, conquistarono quasi tutta la parte occidentale di Tre Mari, compresa la città santa di Shimeh, il luogo di nascita di Inri Sejenus. Solo i resti moribondi dell’Impero Nansur continuano a resistere (ai Fanim).
Adesso guerre e conflitti regnano nel Sud. Le due grandi fedi, Inrithismo e Fanimria (sic!) combattono senza posa, sebbene commerci e pellegrinaggi siano tollerati quando commercialmente conveniente. Le grandi famiglie e le nazioni competono per il dominio mercantile e militare. le Scuole grandi e piccole, bisticciano e cospirano, in particolare contro i misteriosi Cishaurin, la cui stregoneria non può essere distinta dal tessuto del Mondo. I Mille Templi perseguono ambizioni terrene sotto il comando di Shriah deboli e corrotti.
La Prima Apocalisse è diventata poco più di una leggenda. La Consulta, sopravvissuta alla morte di Mog-Pharau, è svanita nel mito, qualcosa che le vecchie raccontano ai bambini. Dopo duemila anni solo gli Studiosi del Mandato, che rivivono l’Apocalisse ogni notte in sogno attraverso gli occhi del loro antico fondatore Seswatha, ricordano gli orrori e le profezie del ritorno del Non-Dio. Sebbene i potenti e i sapienti li reputino dei buffoni, la loro capacità di utilizzare la Gnosi, la stregoneria dell’Antico Nord, incute rispetto e invidia mortale. Guidati dai loro incubi, i Mandati vagano per i labirinti del potere, perlustrando Tre Mari alla ricerca del loro antico e implacabile nemico – la Consulta.
E come sempre, non trovano nulla. ”
[FINE PICCOLO SPOILER]
Beh, se si sopravvive alla sequela di nomi impronunciabili sciorinata in questa presentazione, la prima impressione è di già sentito. Un antico nemico che minaccia di ritornare dopo la sua caduta in un mitico passato, unita a un’ambientazione fin troppo reminescenze delle crociate – le equazioni Inirthi=Cristiani, Mille Templi=Chiesa Cattolica, Shriah=Papa, Fainim=Mussulmani, Impero Nansur=Impero Bizantino balzano all’occhio – non sembra promettere il massimo dell’originalità. Ma, come spero di dimostrarvi, l’innovazione c’è e va ricercata altrove.

Bakker, laureato in Filososofia, si propone di iniettare una forte dose della materia dei suoi studi universitari all’interno della sua opera.
Anasûrimbor Kellhus (salute!), il protagonista – se tale si può definire – appartiene ai Dûnyain, un gruppo monastico che si è ritirato dal mondo al tempo dell’Apocalisse e da allora ha rinnegato lo studio della Storia, dedicandosi alla ricerca della Verità. Per fare ciò sono addestrati a conoscere e controllare “l’oscurità che precede” il pensiero, ossia il turbinio di irrazionalità, paure ed emozioni che guidano le azioni dell’Uomo. Kellhus, convocato attraverso il sogno da suo padre alla città santa di Shimeh, abbandona l’isolamento del monastero e “scende” nel mondo degli uomini a 33 anni, curiosa e non troppo casuale analogia con lo Zarathustra di Nietzche. Kellhus è a tutti gli effetti un Übermensch Nietzschiano: anni di studi monastici gli hanno conferito la capacità di leggere i volti delle altre persone come un libro aperto e intuire quali oscure forze muovono le loro azioni. Il nostro “protagonista” non si fa scrupoli a usare questa conoscenza a suo vantaggio, per piegare tutti gli altri, uno per uno, al suo volere.

[ SEGUE BREVE E INCOMPLETA TRAMA DEL ROMANZO]
Nello stesso anno in cui Kellhus lascia il suo monastero nelle desolate terre del Nord alla volta di Shimeh, nei Tre Mari viene proclamata una Guerra Santa da parte di Maithanet, il neoeletto Shriah le cui origini sono avvolte nel mistero, contro i Fainim. Scopo della Guerra Santa è proprio la riconquista di Shimeh.
Drusas Achamian, mago del Mandato tormentato da dubbi e incertezze, viene inviato dai suoi superiori a spiare i preparativi della Guerra Santa e a cercare come sempre un eventuale coinvolgimento della chimerica Consulta. Durante la missione Achamian ritrova Emenet una prostituta di cui era stato innamorato in passato, fa alcune scoperte sorprendenti su Maithanet e perde il suo migliore infiltrato nei Mille Templi . Sospinti dai venti di guerra, lui ed Esmenet si ritrovano entrambi diretti verso la capitale dell’impero Nansur dove avrà luogo l’adunata dei crociati.
Nel frattempo l’Imperatore complotta  per porre suo nipote, un brillante generale che ha fatto a pezzi le orde barbare del Nord-ovest, alla guida dell’esercito crociato. Il suo scopo è strumentalizzare la guerra santa per riconquistare i territori perduti e riportare l’impero ai fasti nel passato.
A nord, Cnaiür (e risalute!) un barbaro dalla ferocia e odio implacabile, dopo la sconfitta della sua gente, è rimasto con una sola ragione di vita: vendicarsi dell’uomo misterioso che, in gioventù, lo convinse a rinnegare e uccidere suo padre. Quando si imbatte in Kellhus, e riconosce in lui il figlio del suo antico nemico, acconsente ad aiutarlo a raggiungere Shimeh, nella speranza di ottenere finalmente l’agognata vendetta. Ben presto scopre con orrore che Kellhus è un manipolatore abile quanto il padre. Per tutto il viaggio in compagnia del Dûnyain, Cnaiür non potrà mai abbassare la guarda, per tema che il monaco gli rubi l’anima e lo manipoli come un burattino.
I due uomini, si dirigono verso Tre Mari e l’imminente Guerra Santa, per unirsi ad essa per raggiungere la loro meta: Shimeh.
[FINE TRAMA]

La storia si sviluppa con l’ormai consueta serie di misteri, intrighi e macchinazioni politiche, rese popolari nel fantasy da Jordan e (soprattutto) da Martin. Sebbene non possa competere a livello di complessità e numero di personaggi con il buon GeorgeRR (e chi può!), Bakker riesce a conferire egualmente sufficiente profondità al suo mondo e alla sua storia.
Le maggior parte delle vicende viene vista dalla mente dei personaggi, anzi sarebbe più corretto dire che si svolge nella mente dei personaggi. Bakker è capace di spendere diverse righe tra due linee di dialogo per esplorare i pensieri del suo Punto di Vista. Questa scelta, originale in un genere non troppo votato all’introspezione, non aiuta però a velocizzare il dipanarsi degli eventi, e per più di un lettore potrebbe risultare stucchevole. Personalmente l’ho trovato uno degli aspetti più godibili del libro.
In certe situazioni, gli eventi vengono riferiti in maniera confusa e frammentata, in accordo con la situazione emotiva del POV; altrove, diventa difficile stabilire cosa sia reale e cosa sia prodotto della mente e dei desideri del personaggio. È il vecchio trucco del narratore inaffidabile, usato con la dovuta maestria.
La mia parte preferita è stata il viaggio di Kellhus e Cnaiür nelle steppe alla volta di Tre Mari; qui Kellhus espone (alcuni) fondamenti della sua scuola e si adopera senza posa per irretire la mente del barbaro. Questi, già ingannato da giovane dal padre di Kellhus, cerca in tutti i modi di resistere alle manipolazioni del monaco. In passato molti autori sono riusciti ad irritarmi oltre misura quando il loro protagonista diventava così cazzuto da essere pressoché onnipotente. Esempi celebri sono Rand al’Thor de La Ruota del Tempo e Richard Rahl de La Spada della Verità, senza ombra di dubbio i due personaggi più insopportabili concepiti nell’ambito della letteratura fantasy. Bakker, dal canto suo, riesce a rappresentare il monaco Dûnyain in maniera convincente (almeno a mio parere), dando buone argomentazioni a giustificazione delle sue capacità. La sua spietata razionalità, il fatto che il suo vero scopo sia ignoto, unito alla profezia del “ritorno di un Anasûrimbor al tempo della Seconda Apocalisse” conferiscono mistero e timore attorno alla sua figura. Più che il possibile salvatore del mondo, sembra essere un freddo calcolatore, un bastardo sociopatico in grado di non far trasparire nulla del suo vero Sé.
Gli altri personaggi, moralmente parlando, non sono migliori. E qui arriviamo a una delle note dolenti del libro, oltre che a un punto di contatto con l’articolo di Grin: l’innegabile bastardaggine e assenza di morale di tutti personaggi. Per il lettore risulta molto difficile provare qualsiasi sentimento affine alla simpatia nei loro confronti, con la notabile eccezione (almeno per ora) di Achamian il mago, che però mi ha dato l’impressione di avere il marchio dello sfigato disegnato con un pennarello indelebile sulla fronte.
Tutti gli altri sono bastardi inveterati (nel caso degli uomini) o insaziabili meretrici (nel caso delle donne, puttane o concubine di professione); per inseguire i loro scopi (e le proprie perversioni) non perdono occasione di calpestare sotto i loro piedi qualsiasi codice morale e raggiungere nuovi livelli di bassezza. Va pur dato atto all’autore che i “cattivi”, per quello che si è visto ora, sono talmente abietti e fuori di testa da ridimensionare l’amoralità dei presunti “buoni”.
Da parte mia, preferisco l’assenza di morale che l’adozione di un codice etico deplorevole e distorto allo  scopo di giustificare le azioni dei propri personaggi (e in questo torniamo a La Spada della Verità, uno dei punti più bassi del genere).
Ho sentito diversi fan di Bakker (e anche di Steven Erikson, per quanto concerne la sua opera) sostenere che la visione bieca e cinica del mondo e degli uomini dipinta dall’autore conferisca un maggiore “realismo” alla serie. Può darsi. Da parte mia, pur sapendo quanto bieco e spietato sia il mondo in cui viviamo, devo ammettere che tra le mie conoscenze la percentuale di stupratori, assassini e prostitute è sensibilmente più bassa di quella rappresentata tra i personaggi di The Darkness That Comes Before. Con questo non voglio delegittimare la scelta di dipingere il proprio mondo a tinte fosche, ma non userei la foglia di fico del “realismo” per giustificarla. (Peraltro ci sarebbe tutta una discussione da fare sulla reale necessità di essere realisti in un romanzo fantasy, ma questa ve la risparmio per un’altra volta.)

Come dicevo in precedenza, la distanza tra gli autori della Vecchia Scuola e il buon Bakker è più breve di quanto Leo Grin voglia farci intendere. Oh, non mi fraintendete: molto probabilmente Tolkien sarebbe inorridito leggendo questa roba (se non altro per la cacofonia dei nomi). Ma credo avrebbe apprezzato l’immaginazione e l’originalità dell’autore, la cura minuziosa dedicata nel dipingere l’affresco di Eärwa (il cui nome riecheggia peraltro il tolkeniano Eä). La dedizione di Bakker verso il maestro si palesa in più di un aspetto – il presunto ritorno di un Signore Oscuro apparentemente sconfitto in precedenza (anche se i dettagli e la realtà dell’avvenimento restano tutti da appurare), la presenza di specie, Nonuomini e Sranc, per cui possono essere tratti diversi parallelismi con Elfi e Orchi – eppure non si tratta come spesso accade semplice riproposizione, ma una rilettura personale in accordo con una Weltanschauung bieca e spietata, in cui (da quanto emerso finora) si rifiuta qualsiasi morale universale e preconcetta.
Sebbene la mia attitudine mi porti a preferire ambientazioni più solari e nonostante qualche minore difetto comunque comprensibile nell’opera di un esordiente, il libro mi è piaciuto molto, tant’è che ho ordinato tutti gli altri volumi già usciti (per la cronaca sono quattro: due concludono la trilogia The Prince of Nothing, i successivi ne iniziano una seconda, intitolata The Aspect Emperor). Il libro è consigliato agli appassionati di worldbuilding e intrighi politici, purché non si spaventino davanti a una narrazione più introspettiva e a tratti disturbante.

P.S. Nonostante i nomi si ingarbuglino spesso e volentieri nel palato – anche grazie a un uso smodato uso di dieresi e accenti circonflessi – merita una menzione speciale il nome Golgotterath, la perfetta sintesi di Golgotha e Gorgoroth, con in aggiunta un pizzico di Gomorrah.

2 commenti:

  1. "Da parte mia, pur sapendo quanto bieco e spietato sia il mondo in cui viviamo, devo ammettere che tra le mie conoscenze la percentuale di stupratori, assassini e prostitute è sensibilmente più bassa di quella rappresentata tra i personaggi di “The Darkness That Comes Before."

    Partendo dal presupposto che non ho letto il libro, (ma potrei rimediare a questo dopo la tua recensione) non hai preso in considerazione il fatto che, senza la "sovrastruttura" della nostra società, molto probabilmente molte delle persone che ci circondano agirebbero e penserebbero in maniera differente. Sono convinto che, senza, leggi e punizioni efficaci il mondo sarebbe un posto molto più oscuro. Forse faccio parte della schiera dei Fallen Fantasists, ma riesco a vedere molto più reale un mondo "bieco e spietato" piuttosto che un mondo più addolcito. Riuscirei a spiegarmi molte meno cose. Del resto ti do atto sul fatto che "ci sarebbe tutta una discussione da fare sulla reale necessità di essere realisti in un romanzo fantasy": mi rimane il dubbio però che senza una buona dose di "darkness and grim reality" mi sembrerebbe di leggere una favola o un libro per bambini.

    Secondo me, alla fine di ogni recensione, dovresti metterci il voto complessivo che dai e uno "statement" (cit.)

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  2. Ogni società per quanto "primitiva" ha una sua sovrastruttura. Questo è vero anche per il mondo di Bakker, che dipinge comunque una società dai comportamenti alquanto sofisticati. Jnan, viene chiamato il codice non scritto che regole le relazioni tra persone anche in funzione di casta e ruolo. Comunque non era questo che volevo dire. Non è detto che sia la sovrastruttura della società a renderci meno soggetti a pulsioni violente o insane. Anzi potrebbe essere che la società stessa, sempre più "evoluta" e soffocante ne sia in qualche modo la causa, generando in individui troppo repressi la necessità di trovare una valvola di sfogo.

    Per quanto riguarda invece la rappresentazione del male, a volte ci si dimenica che esso può prendere forme meno brutali e sanguinarie, più intime e sofisticate, se vogliamo, ma non per questo meno perfide. Nelle opere in cui la malvagità è rappresentata solo da eccessi, questo aspetto non si tende a considerare...eppure nella vita "reale" penso sia molto più frequente (forse proprio a causa delle regole della società)

    Beh, i voti lasciano sempre il tempo che trovano...è difficile avere la giusta misura. Per quanto riguarda lo statement, ci devo lavorare su...mi aiuterebbe a mettere un po' più a fuoco quello che scrivo, forse

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